domenica 22 agosto 2010

Sabato 16 ottobre 2010; ore 21:30 presso la tensostruttura, viale Santa Lucia, Pescasseroli (AQ) 'CHE FARE? Tragicommedia per attori e pupazzi'



liberamente tratto da 'Fontamara' di Ignazio Silone

con: Mariella Buccilli, Barbara Chiarilli, Simeone D'Amico, Edoardo Jageregger, Stefania Martellone, Gino Pisotta e Sara Scenna.

suono e luci: Marco D'Amico

regia: Barbara Chiarilli

aiuto regia: Stefano Re

Per una Fontamara che scompare ne restano altre mille
Joan Fuster

E’ il pensiero Siloniano ad ispirare questo studio. Siamo partiti da Fontamara e lì siamo tornati perché questo piccolo paesino, intimamente, ci appartiene.
Fontamara è l’opera che meglio rappresenta l’eterna lotta tra oppressori e oppressi. E gli oppressi diventano masse tenute nell’ignoranza per essere più facilmente sfruttate. Potere e popolo sono in uno stato di totale incomunicabilità e gli oppressi sono in una condizione di dipendenza e impotenza di fronte al potere. Le cause dello stato di oppressione, ci dice Silone, vanno ricercate nell’ignoranza favorita da un sistema burocratico e da una struttura sociale che mina il dialogo tra le parti, come se oppressi e oppressori non parlassero la stessa lingua.
Liberarci da questa ignoranza è impresa omerica e implica un sacrificio. Come in un rito antico, in Fontamara, ci sono dei sacrificati: il primo sarà Berardo Viola, poi il resto dei suoi compaesani.
A condurci verso il teatro di figura è stata l’ironia che attraversa questa tragedia. Silone è uno scrittore di grandi capacità satiriche, alla Grosz, alla Bosch, nel dipingere gli oppressori degli umili, i voraci dominatori del mondo. Si mostra capace di scrivere pagine di ilare comicità richiamandosi alla tradizione della farsa, della burla, su su fino alla fabula atellana di Plauto. Per Silone la burocratizzazione e le gerarchie soffocano ogni nuova idea e impongono l’atrofizzazione dello spirito critico.
Una narratrice introduce il racconto, ma è lei stessa parte di esso tanto che indosserà gli abiti del sovversivo e convincerà i fontamaresi, dopo la morte di Berardo Viola, a scrivere un giornale: ‘Che fare?’ Sarà il loro ultimo urlo, ‘Che fare?’. Quando avranno compreso l’importanza di essere uniti per cambiare la loro condizione, i fontamaresi saranno sacrificati al pubblico.
Il sacrificio dei fontamaresi contribuirà a creare una nuova consapevolezza, in un popolo in balìa di politici e autorità che hanno perso, ormai, il senso dello Stato e il rispetto dell’Uomo, in quanto manovrati come pupazzi dal desiderio insaziabile di Potere.



La trama

Fontamara è un luogo inventato. La vicenda che vi si svolge è ambientata nei primi anni della dittatura fascista, e racconta delle violenze che i fontamaresi devono subire da parte dell’Impresario, un faccendiere che, con trucchi e imbrogli, è riuscito a diventare un’autorità politica. L’Impresario si impossessa con un raggiro delle acque di un ruscello con le quali i fontamaresi irrigano le loro terre. Quando i fontamaresi levano le loro voci di protesta, sono di nuovo raggirati da lui con la complicità dell’ex sindaco, l’avvocato don Circostanza, tipica espressione del clientelismo politico italiano.
Berardo Viola, conscio che l’ignoranza dei cafoni non può nulla contro chi gestisce il potere, si pone a capo dei contadini e consiglia l’azione diretta contro l’Impresario. Ma i militi, inviati dal podestà, saccheggiano il paese, violentano e schedano i paesani come sovversivi.
Il furto dell’acqua fa inaridire i campi mentre Berardo, innamoratosi di Elvira e deciso a togliersi dai pericoli che comporta la lite tra fontamaresi e Impresario, emigra a Roma per trovare lavoro, ma non lo trova, perché schedato. Qui finisce in carcere e muore per le sevizie ricevute. Nel frattempo, a Fontamara, un vero sovversivo, il Solito Sconosciuto, offre ai cafoni i mezzi per stampare e diffondere un giornale, ma i militi intervengono di nuovo e compiono una strage.




le tecniche e i linguaggi utilizzati

Si è scelto di utilizzare dei pupazzi manovrati a vista, di grandi dimensioni, per i personaggi di potere e il teatro d’attore per il coro dei fontamaresi. Questa scelta è stata dettata innanzitutto dall’ironia siloniana che porta a creare personaggi grotteschi, soprattutto quelli negativi. L’idea dei potenti come pupazzi ribalta inoltre la concezione di un popolo manovrato da burattinai e rimette in discussione i concetti stessi di Libertà e di Potere.
La scelta di utilizzare un solo elemento scenografico, una panca, ci ha permesso di giocare sul suo utilizzo quotidiano ed extraquotidiano, lasciando al pubblico il compito di completare l’immagine. A scandire la scene ci penseranno i pupazzi, dai torni blu/azzurro, come caricature delle tele picassiane del periodo blu.
Mantenendo inoltre la struttura del romanzo resta la parte narrativa lasciata al regista per introdurre e completare le varie scene. Come in Silone, le vite degli attori si intrecciano e si sovrappongono al racconto. L’incomunicabilità tra oppressi e oppressori è risolta attraverso l’uso del dialetto abruzzese e dell’italiano standard, rispettivamente per il popolo e per i potenti, perché, dice Silone, la lingua, oltre a dipendere dal luogo e dal momento è anche ‘creazione’.